Nicoletta Rossi

Nome della scuola: 
ITE G.B. Bodoni
Città: 
Parma
Regione: 
Emilia Romagna
Disciplina/e Insegnata: 
Scienze e Tecnologie Informatiche
Descrivere la propria storia di educatore, di impegno, innovazione e determinazione legata al proprio contesto scolastico: : 
Sono un’insegnate atipica: vengo dal mondo del lavoro e questo mi è rimasto nel DNA: Considero i miei studenti dei colleghi, cerco di lavorare con loro chiarendo sempre il progetto che ho in mente e chiedendo la loro collaborazione. Lavoro dal 1997 in un ITE di Parma, piccola città dell’Emilia, fortemente artigiana e un po’ pretenziosa, attaccata al suo ruolo di “Petite Capitale”. Questa premessa serve a chiarire il contesto in cui mi muovo: l’Istituto presso cui insegno è “il secondo”, storicamente considerato punto di approdo di chi non è in grado di frequentare il “primo”. La popolazione con cui abbiamo a che fare è quanto mai eterogenea, conseguentemente il corpo docente deve essere proteso all’innovazione e all’accoglienza. Col passare degli anni, la composizione delle classi è diventata sempre più multietnica, e la presenza di un gruppo H particolarmente agguerrito e capace ha attirato studenti diversamente abili. Questo è stato uno stimolo potente a innovare, stare al passo, cercare e creare sempre nuovi progetti, metodologie, scoprire nuove strade nella didattica e nella gestione della classe e dei singoli studenti. Ho frequentato corsi di e-learning, acquisito certificazioni linguistiche, informatiche e didattiche, come l’abilitazione all’insegnamento CLIL, partecipato a progetti Erasmus, ETwinning, Jobshadowing sia come ospite che come ospitante. Di anno in anno ho adattato la mia modalità di insegnamento e di rapporto con gli studenti alle nuove realtà ed ai nuovi contesti, non ho mai insegnato due volte la stessa cosa allo stesso modo, molto nel mio modo di insegnare dipende da esperienze non strettamente legate al mio Istituto; ad esempio, la docenza nei progetti Corda(collegamento fra Scuola Superiore e Università rivolta agli studenti delle superiori) e Idea (stessa cosa ma rivolta alle Matricole) mi hanno consentito di avere un’idea più chiara del metodo necessario agli studenti per frequentare l’Università, mentre la partecipazione alla Scuola in Ospedale mi ha permesso di sviluppare doti di empatia e capacità di relazionarsi con gli studenti in una situazione uno-a-uno di cui, essendo molto timida, ero carente. Come è cambiato il mio modo di insegnare? In realtà non è cambiato, si è evoluto adattandosi di volta in volta al contesto, alla classe, al singolo alunno; sono profondamente convinta che un docente debba essere come lo Slaim: prendere di volta in volta la forma della situazione in cui si trova, mutando continuamente modalità e strategie al secondo del contesto, senza paura. Forse ciò che più mi rappresenta come docente è una frase di K Lorenz: "Come sarei grato al mio destino se anch'io nella mia vita, potessi scoprire una sola "corrente ascensionale" che in futuro aiutasse qualcuno a prendere quota"; perché questo è il compito del docente, non prendere quota, ma aiutare i suoi studenti a farlo.
Descrizione di come è stata affrontata l’emergenza da COVID-19 con i propri studenti:: 
Soprattutto durante il periodo COVID ho dovuto applicare la mia “Teoria dello Slaim”. Mi sono chiesta: cosa deve davvero insegnare la mia materia? Cosa deve provocare nella mente degli studenti? Al di là dei contenuti, qual è lo scopo più profondo dell’Informatica, ciò che costituisce la sua caratteristica come metodo di lavoro, che mette in condizione di risolvere i problemi informatici in generale, non in particolare? In questo momento, la risposta alla domanda precedente è data da 3 punti: la capacità di smontare un problema complesso nelle sue componenti “atomiche”, la capacità di reperire strumenti e informazioni, la capacità di pensare fuori dagli schemi. In questo momento, gli studenti delle mie classi si trovano a dover lavorare in contesti eterogenei e, in molti casi, non propriamente adatti. Ad esempio si trovano a non avere un ambiente in cui lavorare tranquilli, perché condividono lo spazio con fratelli, sorelle, altre persone, non hanno una connessione stabile, non hanno tutti gli stessi device, perché, anche se la scuola li ha forniti a coloro che ne erano sprovvisti, alcuni hanno ricevuto un pc, altri un tablet, altri un IPad. Inoltre studenti con difficoltà linguistiche, o disturbi di apprendimento erano più facilmente soggetti a smarrirsi nelle difficoltà. Sono così nati due progetti che, pur non trattando di argomenti strettamente previsti dal programma così come era solitamente svolto, permettevano ai ragazzi di acquisire le stesse competenze svincolandosi dal limite del software specifico, ma sfruttando software adatti a qualsiasi piattaforma o comunque adattabili a qualunque piattaforma, il tutto a costo zero, stante la situazione economica di molte famiglie in questo periodo. In una classe seconda abbiamo realizzato il progetto “Fan fiction”: i ragazzi hanno creato dei siti che, con le modalità proprie appunto delle Fan fiction, permettono di creare una storia la cui trama varia in base alle scelte attive del lettore(bivi). I ragazzi hanno appreso la programmazione HTML e CSS, hanno imparato a destreggiarsi fra diversi editor disponibili in base al proprio device, ad essere precisi e metodici, a rispettare le consegne e a collaborare per uno scopo comune, a pubblicare in rete e reperire strumenti freeware, schivando le trappole del WEB. Il risultato è un sito, che invito a consultare all’indirizzo www.stulavoro.altervista.org. Non è forse un’opera letteraria di alto livello ma, nella sua ingenua freschezza, ha una sua poetica bellezza. Abbiamo lavorato in sintonia, i ragazzi si sono divertiti e sentiti vicini, seguiti e anche grandi, nonostante il periodo terribile che stiamo attraversando e, ciò che non guasta, hanno raggiunto risultati didatticamente validi e spendibili, e ottimi voti. Nelle classi del secondo biennio abbiamo realizzato il progetto “App to the Top”; la sfida più grande. La classe 4°, divisa in due gruppi, ha realizzato due App, una che consente di inserire delle domande, l’altra che consente di rispondere, ricevere un punteggio ed entrare in una classifica, ed ha inserito le domande; la classe 3° ha utilizzato l’App per le risposte. La prima difficoltà che ho dovuto affrontare è stata di gestire due gruppi in DAD; l’ho risolta creando due gruppi di lavoro in videoconferenza (due classi su Classroom) e seguendo i lavori collegandomi con 3 device: uno per ciascun gruppo ed uno per la classe. A parte un ovvio senso di schizofrenia, il lavoro ha funzionato, siamo riusciti a creare le App e utilizzarle, la classe che risponde alle domande è agguerritissima! Il risultato è che le classi sono rimaste “agganciate”, siamo in anticipo con il programma per il prossimo anno e i ragazzi hanno avuto la percezione che i lavori che creano non sono solo invenzioni degli insegnanti, ma veri prodotti fruibili; inoltre hanno potuto innovare, perché la soluzione tecnica che abbiamo utilizzato non era descritta in nessuno dei siti e dei libri consultati. Tutto perfetto dunque? Ovviamente no, ci sono stati momenti di sconforto, momenti in cui sembrava che non saremmo arrivati a niente e anche qualche “pugno sul tavolo” quando ci voleva, qualcuno comunque si è rifiutato di lasciarsi coinvolgere ma, in totale, il bilancio è più che positivo, anche dal punto di vista del profitto.
Descrivi la tua visione di educazione per il futuro: 
Come cambierà l’educazione nel futuro? E’ difficile, se non impossibile, fare una previsione. Sicuramente l’educazione è già cambiata, continuamente adattandosi all’evoluzione dei ragazzi. In questi ultimi due anni ha fatto invece un balzo in avanti, più che altro costringendo ragazzi e docenti ad uscire dalla comfort zone del “si è sempre fatto così”, forzando anche chi è sempre rimasto nelle retrovie ad adattarsi alle novità. Pensando a come dovrebbe evolversi sarebbe necessario cambiare radicalmente, a mio parere, la valutazione. Il compito dell’istruzione dovrebbe essere incentrato sulla formazione e non sulla valutazione, perché, per come è concepita adesso, riduce in gran parte la scuola ad un gioco di guardie e ladri, in cui non è importante apprendere, ma produrre una prestazione positiva, e pazienza se per caso è fittizia perché ottenuta con l’inganno. Spostiamo invece la funzione della scuola sul fatto di riuscire ad apprendere, ad acquisire competenze ed abilità caratteristiche del proprio percorso di studi. Questo permetterebbe ai ragazzi di sviluppare autonomia; in quanto seguire, studiare, lavorare non sarebbero più compiti imposti, ma liberamente scelti per raggiungere uno scopo. La verifica degli apprendimenti potrebbe essere realizzata alla fine del percorso scolastico, ma dovrebbe essere gestita al di fuori della scuola: ad esempio, la prova finale della scuola secondaria di primo grado potrebbe essere somministrata dai docenti della Secondaria di Secondo grado; quella della Secondaria di Secondo grado dall’Università o dal mondo del lavoro. La scuola finlandese, che ho avuto la possibilità di visitare durante un job shadowing, sta evolvendo proprio in questa direzione. I docenti sarebbero sollevati da una mole di lavoro notevole (si pensi al tempo impiegato a preparare verifiche divise per file, sorveglianze, controlli sulle copiature e sul plagio), potendo così concentrarsi su ciò che è veramente importante: sviluppare al massimo le capacità e le abilità dei ragazzi. Non sarebbe necessario eliminare le verifiche, ma queste diventerebbero ciò che è insito nel loro stesso nome: la possibilità di verificare quanto appreso. Un sogno? Forse. Ma che innovatori saremmo senza i sogni?