Gianfranco Faillaci

Nome della scuola: 
Liceo Scientifico e Linguistico Principe Umberto di Savoia
Città: 
Catania
Regione: 
Sicilia
Disciplina/e Insegnata: 
Italiano, Latino, Geostoria, Storia EsaBac
Descrivere la propria storia di educatore, di impegno, innovazione e determinazione legata al proprio contesto scolastico: : 
Sono, anagraficamente, un immigrato digitale. E ho fatto il Liceo Classico. La seconda cosa, però, non è un’aggravante, non acuisce affatto le debolezze che sembrano implicite nella prima. Al contrario: nelle occasioni in cui diverse esperienze di lavoro lo hanno reso necessario, posso dire di essermela sempre cavata dignitosamente con le tecnologie. Ed è mia convinzione che, se ciò è avvenuto, il merito sia stato proprio del Liceo Classico. Perché secondo me, dopo esserti fatto le ossa su Tucidide e su Tacito, governare la sintassi con cui si comanda a una macchina non può essere una missione impossibile. E perché il dialogo tra umanesimo e tecnologie può essere fecondo di scoperte e di sorprese, come in fondo è da sempre ogni dialogo, ogni uso condiviso di un linguaggio. Che le tecnologie siano una buona carta da giocare nella scuola l’ho sperimentato concretamente una decina di anni fa, quando mi sono imbattuto in uno strumento complicato e affascinante: Moodle. Pur non amando i test a risposta chiusa – che di Moodle rappresentano una delle più immediate applicazioni – mi sono chiesto se da una piattaforma così potente si potesse trarre uno strumento per meglio accompagnare i passaggi logici che gli studenti devono affrontare nello studio del latino. E mi sono convinto che si può. Ho sviluppato quindi – a partire dal modulo “lezione” – un sistema che permette di analizzare minuziosamente tutti gli aspetti di una frase, attraverso l’analisi di ogni singola parola. All’inizio, bisogna solo definire in quale categoria la parola rientra (è un sostantivo? un verbo? un aggettivo?). Ma a partire da lì, in base alla prima risposta, compariranno ulteriori domande, diverse di caso in caso. Se si è risposto “sostantivo di terza declinazione”, il sistema passerà all’analisi di genere, numero e caso, da qui alla funzione logica, poi ai rapporti di concordanza o di dipendenza. Se si è risposto “verbo di quarta coniugazione”, si partirà da modo, tempo e persona per addentrarsi fin nell’analisi del periodo o nella consecutio temporum. Alla fine dell’esercizio – che in genere i ragazzi svolgono a casa, con la possibilità di ripeterlo in caso di errori – avrò un quadro dei risultati degli studenti, da cui potrò capire meglio chi ha bisogno di un rinforzo e su quali argomenti, per ciascuno studente, bisogna insistere. E potrò anche capire in dettaglio quali costrutti sono stati assimilati dalla classe e in quali, invece, i ragazzi hanno incontrato più difficoltà. La metodologia dello studio della lingua latina, in questo caso, parte da una consolidata tradizione scolastica. Ma lo strumento digitale permette un controllo dei processi di apprendimento che sarebbe impossibile realizzare se lo stesso tipo di esercizi fosse svolto semplicemente sul quaderno. Una seconda bella opportunità di intrecciare tecnologie e didattica umanistica me l’ha invece offerta l’Accademia della Crusca. Che, insieme alla casa editrice Loescher, ha bandito un premio internazionale di lettura dantesca che comportava la realizzazione di un video digitale. La sfida era affascinante: c’era da utilizzare un linguaggio nuovo muovendosi nel solco dell’antica e veneranda tradizione della lectura Dantis. Per due anni consecutivi i ragazzi di due mie classi hanno vinto il primo premio, reinterpretando – con una certa dose d’ironia, ma anche con buon rigore filologico – due canti del Purgatorio, rispettivamente il IV e il XXII. Nell’estate 2017, il nostro video sul canto XXII Purgatorio è stato anche proiettato a Ravenna, nell’ambito delle celebrazioni di “Dante 2021”. Naturalmente, in un’esperienza come questa, il digitale è stato soltanto uno degli ingredienti. Assai importante, certo: molti materiali di scena sono stati creati con il fotoritocco, alcune sequenze dei video sarebbero state irrealizzabili senza il green screen, il montaggio è stato effettuato con software piuttosto complessi. Ma la tecnologia ha dovuto sposarsi con un’organizzazione fatta di tante altre cose: scrittura condivisa, sopralluoghi in giro per la Sicilia, realizzazione dei costumi, riprese ripetute infinite volte, invenzione di soluzioni ai problemi che via via si presentavano, faticoso lavoro di postproduzione. Non posso dire, in questo caso, che il digitale sia stato la chiave per far interessare i miei studenti a Dante. Ma posso dire che, senza l’occasione fornita dal digitale, i ragazzi non avrebbero avuto l’occasione di approfondire l’interesse per Dante nato sui banchi di scuola, di trasformarlo in qualche caso in vera passione, di vivere un’avventura capace di sposare studio, divertimento, piacere di stare insieme, scoperta di nuovi linguaggi, attualizzazione, valorizzazione, immissione di un sapere antico nell’orizzonte dell’oggi. Come ho provato a raccontare in quest’articolo, comparso sul blog “La letteratura e noi” (e che contiene anche, in versione integrale, i video realizzati dai miei ragazzi): https://www.laletteraturaenoi.it/index.php/scuola_e_noi/916-da-belacqua-a-falcone-tre-video-per-leggere-dante.html Meno spensierata, certo, l’ultima sfida digitale vissuta dentro la scuola. Una sfida che stavolta non sono andato a cercare, ma che sarebbe stato impossibile non raccogliere. L’emergenza da COVID-19 mi ha coinvolto sia in quanto docente, sia in quanto animatore digitale dell’istituto in cui oggi insegno, il Liceo Scientifico e Linguistico Principe Umberto di Savoia di Catania.
Descrizione di come è stata affrontata l’emergenza da COVID-19 con i propri studenti:: 
Dal 5 marzo 2020 è divenuto improvvisamente chiaro a tutti che, affinché la scuola non arretrasse davanti alla pandemia, la strada da imboccare doveva per forza passare dal digitale. L’Istituto in cui oggi insegno – il Liceo Scientifico e Linguistico Principe Umberto di Savoia di Catania, presso il quale ricopro l’incarico di animatore digitale – può affermare di non aver interrotto le lezioni nemmeno per un giorno, e nemmeno al momento dell’inaspettata “chiusura”. Già dalle prime ore di emergenza abbiamo tenuto i contatti con le classi tramite WhatsApp e utilizzato piattaforme gratuite come Zoom; ma anche caricato su Youtube brevi lezioni registrate che ogni studente avrebbe seguito autonomamente, prima di ritrovarsi a discuterne in videoconferenza o in chat. Poi, nel giro di pochissimi giorni, con il supporto dell’Università di Catania, abbiamo registrato sulla piattaforma Microsoft Teams gli oltre 1600 studenti e più di 100 docenti dell’Istituto, creando una cornice omogenea per tutte le esperienze didattiche da sviluppare a distanza. Nella gestione dell’emergenza, la scuola ha scelto di non stravolgere i ritmi degli studenti, inserendo la didattica a distanza nel quadro del normale orario di lezione, intervallato dalle necessarie pause. Ma ha colto anche l’occasione per riflettere sui processi di apprendimento dei ragazzi. In alcuni casi, ad esempio, il ricorso a metodologie tipiche della flipped classroom ha agevolato quegli studenti che, nella lezione sincrona, tendevano spesso a perdere il passo e non avevano imparato a prendere appunti. Spesso la consegna digitale degli esercizi assegnati per casa – sotto forma di test a correzione automatica, o anche semplicemente attraverso la scansione delle pagine di quaderno – ha fornito ai docenti elementi per accompagnare i progressi dei singoli studenti e individuare problemi e criticità. Si sono proposti ai ragazzi, anche nelle classi terminali, forme di scrittura svincolate dalle tipologie ministeriali, più idonee a comunicare, e ad elaborare, le emozioni vissute in questo tempo. Un bagaglio di esperienze, quello maturato nei mesi di emergenza, che sarà ragionevole non disperdere, anche quando il ritorno alla didattica in presenza smetterà di essere solo un proclama. Cosa, questa, che appare difficile immaginare non solo senza un efficiente piano vaccinale, ma anche senza idonee misure di edilizia scolastica, reclutamento di nuovi docenti, diminuzione del numero degli alunni per classe. L’estate del 2020 non ha, purtroppo, portato via la pandemia. Per la nostra scuola – mentre il dibattito pubblico era tutto concentrato sulle rotelle dei banchi – è stato fin da subito chiaro che il nuovo anno scolastico non ci avrebbe riportati alla normalità. Affinché il rientro di tutti in presenza diventasse qualcosa di più di uno slogan, avremmo avuto bisogno di nuovi locali e di nuovi docenti. Non abbiamo ottenuto né gli uni né gli altri. È stato quindi necessario pensare per tempo a organizzare il nuovo anno. Anzitutto riducendo il rischio di assembramenti (il che ha significato scaglionare le entrate e aprire nuovi ingressi, trasformando in modo significativo la nostra organizzazione). E poi accettando da subito il fatto che una quota di didattica a distanza sarebbe stata inevitabile, e che sarebbe stato necessario integrarla e armonizzarla con la didattica in presenza. Qualche mese più tardi, le indicazioni ministeriali e quelle regionali avrebbero imposto la presenza, a rotazione, del 50 per cento degli studenti; ma questo modello era già stato adottato, nella nostra scuola, fin dal mese di settembre. Avvicinarci all’apertura della scuola ha dunque significato preparare il campo per reggere questo sforzo: senza esaltare acriticamente la Dad come andava di moda nelle prime settimane di pandemia, senza additarla a origine di tutti i mali come è diventato di moda in seguito. Semplicemente, si è preso atto che il rientro in presenza al 100% sarebbe stato un’utopia e si è agito di conseguenza: acquistando i maxischermi che ancora mancavano in molte aule, in modo che i ragazzi a casa potessero farsi vedere e sentire dai loro compagni, e non soltanto dai professori; allargando la banda di connessione a Internet per poter supportare il traffico di 65 videoconferenze contemporanee; programmando l’acquisto di computer per permettere ai docenti di trasmettere dalle aule e di fare un uso ottimale delle “lavagne” virtuali; fornendo agli studenti privi di dispositivi adeguati i tablet già in possesso della scuola; acquistando nuovi tablet con alloggiamento per scheda Sim, per metterli a disposizione dei ragazzi che a casa non dispongono di una connessione WiFi. Nel corso dell’anno scolastico, naturalmente, l’infrastruttura ha richiesto diversi aggiustamenti. È stato necessario potenziare gli access point per distribuire meglio il segnale WiFi; fornire le aule di prese Ethernet per garantire una connessione più efficiente; acquistare dei router 4G per far fronte alle eventuali emergenze e per supportare la succursale, a volte penalizzata da un segnale meno stabile; risolvere centinaia di problemi piccoli e grandi, non tutti previsti e non tutti prevedibili. La sfida dell’ultimo anno scolastico è stata, al tempo stesso, semplice e difficilissima: si è trattato di adeguare la scuola, in tempi assai rapidi, alla necessità di garantire a tutti gli studenti, anche a distanza, il concreto esercizio del diritto alla migliore istruzione possibile. Gran parte dell’anno scolastico, dunque – salvo i mesi in cui si è tornati integralmente alla DAD, e le ultime settimane in cui, per legge, la didattica digitale è stata ridotta al 30 per cento degli alunni – è stata organizzata in forma mista, con la presenza, in ogni classe, del 50 per cento degli alunni. Una presenza organizzata a rotazione, e senza mai perdere di vista l'obiettivo della massima socializzazione tra i ragazzi. Per questa ragione i criteri della rotazione sono stati periodicamente modificati, in modo da intrecciare tra loro i sottogruppi ed evitare che le classi finissero, di fatto, per sdoppiarsi. Uno scenario, quello fin qui delineato, che certamente non appare desiderabile; ma che ha avuto il vantaggio di anticipare quello che, pochi mesi dopo, sarebbe divenuto uno standard, e quindi di dare all’organizzazione scolastica una notevole stabilità. Di certo, non si è registrato nel nostro istituto quel malcontento contro la Dad che ha riempito per mesi le pagine dei giornali. Al contrario, quando un decreto legge ha imposto di finire l’anno con una maggior quota di studenti in presenza, gli stessi rappresentanti studenteschi hanno chiarito che avrebbero preferito continuare l’anno come lo si era iniziato, dimostrando che il lavoro fatto fin dall’estate precedente aveva dato qualche frutto. Naturalmente un anno scolastico non è fatto solo di lezioni. Abbiamo svolto a distanza i collegi dei docenti (elaborando anche, all’interno della piattaforma Teams, un efficiente sistema per le votazioni, sia palesi che segrete); i consigli di classe (per i quali abbiamo individuato un metodo per firmare a distanza i verbali); il ricevimento dei genitori (abbiamo integrato piattaforma e registro elettronico, creando un sistema di appuntamenti semplice e di grande puntualità; un metodo che molti genitori ci hanno chiesto di conservare anche per il futuro). Abbiamo organizzato online le attività di orientamento in entrata e in uscita; la formazione dei docenti; il PCTO; tutte le iniziative che coinvolgevano relatori esterni alla scuola. Per le elezioni degli organi collegiali abbiamo elaborato un sistema per registrare i nomi dei votanti, garantendo al tempo stesso la segretezza del voto; e abbiamo rilevato che, quest’anno, la partecipazione dei genitori è risultata più alta che in occasione delle elezioni in presenza. Anche le assemblee di istituto hanno regalato qualche sorpresa: alcuni ragazzi che non avevano mai parlato in pubblico lo hanno fatto per la prima volta a distanza, facendo di questi incontri dei momenti di reale partecipazione. Nulla di tutto ciò, naturalmente, vale ad autorizzare una retorica pro-Dad da contrapporre a quella, ormai dominante, che vede nella Dad l’origine di ogni male (e che resterà retorica fin quando non ci saranno soluzioni concrete non solo al problema dei trasporti, ma anche a quello della sicurezza di alunni e docenti, al sovraffollamento delle aule, alla mancanza di strutture che affligge buona parte del Paese). Nessuno ignora il disagio, a volte drammatico, che mesi di pandemia, paura, isolamento, perdita di socialità hanno seminato nei nostri studenti e nelle loro famiglie. Nessuno vuole ingigantire l’importanza di quanto la scuola è riuscita a fare a fronte del disastro che ha travolto il Paese. Ma l’esperienza autorizza ad affermare che il ricorso al digitale – gestito da una dirigenza sensibile e oculata, pensato con il coinvolgimento attivo e partecipe dell’intera comunità scolastica, realizzato con la dovuta attenzione alle situazioni di disagio economico e sociale – ha fatto sì che gli ultimi due anni scolastici non siano stati affatto degli anni perduti. Aver vissuto tutto questo non solo da docente, ma anche nel difficile ruolo di animatore digitale non mi ha naturalmente semplificato la vita. Ma l’apprezzamento e la gratitudine di ragazzi e genitori – che spesso ci ricordano come, in questi anni, distanziamento non abbia mai significato distanza – mi regala la ragionevole speranza di non aver fatto male la mia parte di lavoro.
Descrivi la tua visione di educazione per il futuro: 
La mia visione di scuola, di educazione, non prescinde né dal passato né dal futuro. Non credo a una scuola-Narciso, in cui il progetto educativo si appiattisca su un esistente celebrato come buono per il solo fatto di essere nuovo. Non nutro, ovviamente, nessuna nostalgia per il modello autoritario della vecchia scuola-Edipo. Mi affascina piuttosto la visione di una scuola-Telemaco, in cui il rapporto tra il maestro e il discente, la trasmissione dell’eredità del passato si costruisca su nuove basi, che mettono in campo la scelta e la ricerca da parte del giovane. Non credo a una scuola fatta solo di lezioni frontali, ma nemmeno a una scuola che rinunci programmaticamente alla ricchezza che può sprigionarsi da un’ora di lezione. Non credo a una scuola che nasconda i propri tesori sotto la polvere dei tecnicismi, ma neanche a una scuola che appiattisca il passato sul presente privandolo della sua profondità, e della faticosa felicità di esplorarla. Non credo a una scuola che si appaghi della trasmissione di conoscenze, ma neanche a una scuola che celebri un’interpretazione della competenza che finisca per essere indifferente ai contenuti. Ed è qui – tra quel che sento di non essere e di non volere – che credo possa aprirsi uno spazio per il dialogo tra passato e futuro. Un dialogo in cui è indispensabile saper parlare il linguaggio dell’oggi – e, prima ancora, saperlo ascoltare – senza per questo costruire una mitologia innatistica dei “nativi digitali”. Un dialogo che parte dalla convinzione che gli strumenti consegnatici dalla nostra formazione, avvenuta in un passato che sembrerebbe ormai sbiadito, possano essere importanti – per noi, ma ancor di più per i nostri allievi – per proiettarsi in un futuro che può far paura, ma che non possiamo smettere di leggere. Un dialogo che sappia profittare della moltiplicazione dei canali e dei linguaggi, senza dar per scontato che ciò debba condurci ad appiattirci sulla superficie dei messaggi. Un dialogo che sappia mettere al centro gli allievi di oggi e di domani: senza però mai privarli di quel retaggio di sempre che è costituito dalla voce del maestro.