In questi anni si è fatto un gran parlare di modifiche del sistema scolastico italiano. Una volta varcata la soglia delle aule, tutto appare, per la maggior parte, fermo e immobile (rif. OCSE PISA). Qualunque sistema di riforme che non riesca a modificare ciò che accade tra i docenti e gli studenti, all’interno delle aule scolastiche, è destinato a non caratterizzarsi come un cambiamento significativo, né in riferimento all’istruzione delle nuove generazioni né alle criticità del sistema scolastico. Il cuore del problema educativo dovrebbe essere centrato sulla promozione di quelle qualità personali che consentano a ciascuno di diventare il vero protagonista della propria crescita e della propria maturazione. Se questo vale per gli studenti, tanto più deve valere i docenti, in un’ottica di una formazione di base, permanente, e per tutta la vita. Dirigere se stessi nel proprio apprendimento culturale e professionale, tiene conto di due prospettive complementari: l’autodeterminazione e l’autoregolazione. Interessare la dimensione della scelta, del controllo di senso e di valore, dell'intenzionalità dell'azione, della motivazione, della decisionalità nella costruzione di un progetto, anche esistenziale, è uno sforzo auto determinativo. Il monitoraggio, la valutazione e il controllo strumentale dell'azione definisce, invece, la volontà autoregolativa. Nel nuovo spazio educativo – in cui interagiscono una molteplicità di fonti informative e formative – i docenti dovrebbero assumere, soprattutto, il ruolo di facilitatori dell'apprendimento, mediante forme di orientamento, di guida, di sostegno e di valutazione di natura essenzialmente formativa. Per questo motivo, i docenti dovrebbero esser in grado di sviluppare un ambiente educativo che risulti valido e produttivo, pur non potendo mai sostituirsi all'impegno nell'attività che devono mettere in campo gli studenti. Questi ultimi, d'altra parte, devono essere progressivamente orientati a gestire se stessi in tale contesto. Educare implica, in primo luogo, la disponibilità a prendersi cura dell'altro. Educare coinvolge, sempre, particolari disposizioni valoriali e di impegno sociale. Diventare docenti validi, è impegno sociale. Le dimensioni che caratterizzano la qualità professionale e umana di un educatore sono molteplici, si tratta di competenze proprie nel campo culturale e professionale, di competenze di natura comunicativa e relazionale, di competenze di natura valoriale. Un docente dovrebbe aver allenata la capacità di scegliere, in maniera prudente e responsabile, i mezzi che gli consentano, di conseguire, tenendo conto delle circostanze specifiche in cui deve operare, l’obiettivo educativo-formativo preposto. Bisogna mettere in luce, dunque, quanto la responsabilità primaria che ciascuno ha della propria crescita personale, sociale, culturale e professionale sia determinante nel costruire una società migliore. In questa prospettiva, il ruolo del docente come educatore, facilitare e, soprattutto, come orientatore si verrebbe a delineare, sempre più, come ruolo da formare, seriamente, ma, soprattutto, al quale approdare grazie a una scelta consapevole. Il lavoro di docente non può, in questa ottica, essere un ripiego. La scuola non può considerarsi un approdo casuale, o dettato da necessità altre. La complessità e l’importanza legate al ruolo del docente fanno di questa professione una delle professioni di più grande responsabilità, verso sé stessi, verso l’altro e verso la società tutta. Investire nella formazione personale, lungo il corso della vita, oltre che nella formazione professionale, è, dunque, la mia visione educativa per il futuro a cui noi docenti, tutti, dovremo approdare per rendere davvero la scuola un posto migliore. Giungere a una congruente competenza educativa implica un serio cammino di formazione e di autoformazione, continua e perseverante, che non deve trascurare lo sviluppo e il miglioramento delle capacità relazionali. Diventa sempre più necessario recuperare un approccio robusto alla formazione dei docenti. Il docente, per primo, deve incarnare quello spirito critico, capace di inserirsi nella società con responsabilità. È necessario impegno per la ricerca e l'individuazione di nuove forme di proposta educativa e formativa atte a consentire la perseveranza nello sviluppo della persona e della società umana. La finalità prioritaria di un sistema educativo è quella di aiutare un individuo a "venire fuori da sé stesso". Una vera e profonda evoluzione personale del docente sarà in grado di coinvolgere progressivamente l’intero sistema scolastico, incidendo sul modo stesso di vivere la scuola e di risolvere i problemi che in essa si sviluppano. Il mio intervento educativo/formativo, nelle varie scuole in cui ho lavorato (Roma, Milano, Foggia), prova a testimoniare empiricamente che è possibile dare il via a un sistema morfogenetico, capace di trasformare, in modo duraturo e irreversibile, l’intero sistema. A un insegnante direttivo centrato sul compito e sul controllo dell’efficienza produttiva si può sostituire, il docente come orientatore. Un docente che promuove l’espressione dei bisogni, delle idee, delle emozioni e si libera dalla paura di perdere il controllo della classe. Non un docente, dunque, che trasferisce il suo sapere o, nelle migliori delle ipotesi, che organizza il sapere, ma un docente che sa essere con gli studenti, in modo funzionale al loro processo di apprendimento, meglio ancora, al processo attraverso il quale gli studenti educano sé stessi. Una scuola costituta da docenti orientatori, è una scuola che sposta la centralità dell’interesse dai contenuti alla qualità delle relazioni, ai processi di comunicazione e interazione, alla capacità di orientare gli studenti alla soluzione dei loro problemi attraverso una educazione all’intenzionalità. Il docente orientatore si fa testimone di una pedagogia che considera l’educazione un processo essenzialmente autogestito, che si sviluppa dall’esperienza, learning by doing, dove la riflessione e la concettualizzazione partono dai fatti e dai vissuti e ad essi continuamente ritornano. Il questo senso, il centro di interesse diventa, davvero, la persona, mentre la metodologia da scegliere tenderà a concentrarsi sulle strutture e sulle dinamiche attraverso le quali gli individui possano arrivare ad autogestire il loro processo di sviluppo. Bisogna tener ben presente che ogni docenza è sempre luogo di una precisa responsabilità individuale e, soprattutto, sociale; partecipazione a quell’alto impegno civile che è la costruzione della vita comunitaria democraticamente caratterizzata. L’educazione è una pratica fondamentale per il fiorire di una civiltà. Investire nell’educazione è, dunque, essenziale. Investire, specificatamente, nell’educazione scolastica significa convogliare risorse nella formazione dei docenti: la qualità dell’educazione dei bambini, dei ragazzi e dei giovani è direttamente proporzionale alla qualità della competenza del personale docente. Il ruolo del docente come orientatore, prendendo spunto dalle riflessioni fatte osservando i docenti della migliore scuola d’Europa, la scuola finlandese - che ho avuto modo di studiare durante i miei viaggi formativi per un’esperienza professionalizzante - è difficile e delicato, richiede competenza, richiede che il docente divenga un professionista pensante e creativo, cioè un soggetto capace di generare rivoluzioni concettuali nella pratica, quelle rivoluzioni concettuali che aprono lo spazio del pensare a verità luminose. Il docente orientatore, in primis orienta sé stesso, trova il suo posto: non è genitore, non è psicologo, non è un asettico professionista; le sue componenti umane e il suo stile professionale possono esprimersi nella figura di un adulto-educatore autentico, che capisce se stesso, i propri sentimenti e gestisce la sua relazione con lo studente con partecipazione, ma anche, e soprattutto, con chiarezza dei limiti in cui il suo aiuto allo studente deve restare. Compito del docente orientatore è la realizzazione della migliore relazione tra insegnamento e apprendimento, con attenzione alle condizioni di efficacia per promuovere competenze, attraverso i processi di conoscenza e di meta conoscenza. Ciò è tanto più possibile quanto più si conoscono i meccanismi e le modalità dell'apprendimento, considerando che nella relazione didattica l'apprendimento é costituente e l'insegnamento è rispondente. Si farebbe, così, strada una visione di una scuola dove docenti e studenti possano e vogliano tenersi reciprocamente la mano. Attraverso la sicurezza e la competenza esperta dei docenti, gli studenti devono essere aiutati e sollecitati a costruire la propria conoscenza nel contesto culturale e sociale che li ospita, in un’integrazione tra modalità cognitive, affettive e relazionali nonché corporee, spaziali e sociali. Nella simmetria pedagogica, il docente esercita un ruolo attento e facilitante, in una relazione educativa che aiuti gli studenti a diventare sempre più competenti e quindi capaci di quella autonomia, la quale costituisce il vero obiettivo della formazione. Lo studente è un soggetto "in fieri", egli non può essere consapevole delle proprie potenzialità, ha bisogno del docente per sviluppare progressivamente tale consapevolezza, in un processo di costruzione di sé caratterizzato da interazioni continue, scambi per apportare adattamenti e aggiustamenti, trasformazioni e integrazioni cognitive, metacognitive e culturali. Il docente è il mediatore didattico pedagogico per eccellenza. Ha la funzione di condurre i suoi studenti, come un novello Virgilio, in un viaggio appassionante nel sapere, per aiutarli a costruire una propria visione del mondo, intelligendo la propria esperienza in un'azione di orientamento continuo. Egli ha il compito, inoltre, di produrre mediatori didattici e di sviluppare metafore e analogie, cioè di costruire ponti e sentieri di collegamento e trasformazione tra il sapere formale e di sapere ingenuo degli studenti, perché questi possano realizzare il personale processo di appropriazione e costruzione della conoscenza in termini di cognizione e metacognizione. D'altra parte, l'educazione si sostanzia nel processo di orientamento alla persona, come azione di individuazione, di cura e coltivazione del proprio compito, di sviluppo delle proprie capacità, potenzialità e talenti, per poter agire sempre più consapevolmente e responsabile in contesti stimolanti. La buona prassi finlandese, da cui derivano molte di queste mie riflessioni, non va interpretata come un modello ideale, perfetto, assolutamente corretto e da applicare direttamente nel contesto italiano. Anzi, cercare di farlo sarebbe controproducente. Essa va vista, piuttosto, come qualcosa che altri hanno fatto e che nel loro contesto ha funzionato perché vi erano, evidentemente, delle buone caratteristiche. Ed è proprio su queste caratteristiche che si deve curiosare, indagare e criticare, mettendole in relazione alla situazione italiana e al proprio contesto scuola. L’Italia potrebbe imparare molto dalla Finlandia, ma non solo. L'Italia di oggi potrebbe imparare molto guardando al passato, alla sua storia. L'Italia potrebbe ridare luce e valore a quelle idee pedagogiche che, oggi, sono diffuse largamente in tutto il mondo - dove hanno trovato più apprezzamento che qui - posto, per altro, dove nascono e da cui provengono. Per l’esperienza, che chi scrive ha fatto, la regola, in Italia, è quella di un presente scolastico tutt’altro che intenso. Debole entusiasmo, demotivazione sono palpabili in ogni incontro collegiale dei docenti, che la maggior parte di essi reputa uno spreco di tempo. Docenti completamente rassegnati al legno scomodo delle sedie, al colore deprimente delle pareti, alla sciatteria degli arredi. Urla mortificanti vengono rivolte, giornalmente, agli studenti, avvizziti e ossificati a causa, evidentemente, dell’insofferenza che regna nelle istituzioni scolastiche. Docenti e studenti vivono la scuola in attesa della fine della giornata o, meglio, dell’arrivo della pausa legata alle festività o alle ferie. Difficile resta, trascorrere molte ore dentro determinate strutture e non assorbire, inconsciamente, un messaggio di svalorizzazione, a causa della miseria che vi echeggia. Ci si uniforma all’insensibilità viralmente distribuita. E diventa difficile percepire il gelo – non solo metaforico, spesso e volentieri gli impianti di riscaldamento non funzionano - dei materiali vecchi e stanchi, dei colori e delle luci smorte. Il sentirsi mortificati, depressi, sradicati dipende dal luogo, dal posto, dagli ambienti che, diventato casa per ventisei o quaranta ora alla settimana. La scuola si presenta come un ambiente capace di far appassire anche chi entra, all’inizio, con autentico entusiasmo. E poi, all’improvviso, basta entrare, anche solo una volta, in uno spazio pensato per educare - con cognizione, con passione - per accorgersi che quello a cui si è abituati, credendo fosse l’unico e solo modo di intendere certi spazi, non è che una struttura pensata per essere orientata alla contenzione, alla sorveglianza, esattamente come fosse prassi di una terapia contenitiva massificata di una caserma, o di un ospedale psichiatrico, piuttosto che di un carcere. Capisci che è la scuola a non funzionare. Ho provato sensazioni molto forti all’impatto, ripetuto, con le scuole finlandesi. Emozioni che tendevano a esacerbarsi, ogni qual volta, rientravo in Italia, sul mio posto di lavoro. L’ambiente è importante, È il primo impatto. Un segno che resta impresso. E che influenza chi ci vive dentro. Inevitabilmente. L’attenzione, di chi scrive, si è così spostata dal sospetto di aver fatto una scelta lavorativa e di vita sbagliata, alla consapevolezza che, invece, era ed è la scuola ad esserlo, per come viene ancora oggi proposta in Italia e vissuta da tutti i suoi inquilini. Capisci quanto ci sia molto da smantellare e ricostruire. Occorre squarciare il velo, sbarazzarsi di tutti i luoghi comuni, e di tutte le false e ingenue credenze. Non è affatto necessario far riecheggiare urla di ogni sorta nei corridoi, ad ogni ora, o essere spigolosi nelle relazioni con gli studenti e, poco collaborativi con colleghi o i superiori. Alimentare lamentele. Arrendersi all’inevitabile. Cedere alla bruttezza. Queste parole nascono con l’obiettivo di uno smascheramento. Il lavoro del docente, una volta spezzate le catene e guardato al di là del conosciuto o del vissuto, è altro. È un lavoro tra i più interessanti e stimolanti. Per vederlo è necessario esserne in grado. L’unico modo è quello di aprire la mente e gli occhi. Come? Formandosi. Formandosi. E ancora formandosi. Formazione e autoformazione diventano il portale verso la grande bellezza educativa. Effettuare delle analisi comparate con altri sistemi educativi, guardandoli da vicino, permette di viaggiare tra i fenomeni delle buone prassi educative. Solo un esercito di docenti illuminati può portare alla vera rivoluzione della scuola italiana.