La mia esperienza da direttrice didattica (prima del 2000) e dirigente scolastica (dopo il 2000).
Sono dirigente scolastica da 25 anni; ho avuto la fortuna di diventarlo a 33.
Vado molto fiera di essere stata direttrice didattica per i primi quattro, prima dell’avvento dell’autonomia scolastica; credo che questo abbia determinato fortemente il mio successivo percorso professionale.
Prima ancora, sono stata maestra di scuola elementare per 12 anni. Di quelle che, a cavallo tra gli anni ‘80 e ‘90, sperimentavano il coding con il Logo di Papert (unplugged, si direbbe ora, perchè di mezzi informatici a scuola ce n’erano pochini...) e teneva in classe il primo Amiga 500 aquistato per i miei alunni dalla nostra direttrice, lungimirante e attenta.
Ma sono stata anche capo scout, giocatrice e allenatrice di pallavolo, musicista, consigliere comunale, impegnata in associazioni di promozione sociale. Sono mamma (orgogliosa) di tre figli. Esperienze che in genere si escludono dal CV, ma che a me hanno dato le basi per un intenso impegno professionale nella scuola, seguendo due principi irrinunciabili: mettere al centro gli studenti e non fermare mai un processo di innovazione didattica e metodologica.
Un elemento di spinta professionale fortissima è stato il visiting, in Italia e all’estero.
Con i progetti Socrates Comenius (ora Erasmus), dai primi anni duemila in poi, ho imparato moltissimo dalla visita in numerose realtà europee, portando sempre “a casa” idee, spunti di lavoro, buone pratiche, a volte adattabili anche alla nostra situazione nazionale (che putroppo risultava, nel confronto, in estremo difetto, soprattutto dal punto di vista della gestione generale del sistema scolastico). Svolgere questi scambi in gruppo, con i docenti e anche con la DSGA, mi ha sempre lasciato moltissimo, in termini professionali ma anche umani.
L’adesione e partecipazione attiva, dal 2014, al movimento Avanguardie Educative di Indire ha rafforzato questa capacità di mutuare dalle esperienze di altre scuole elementi per rafforzare e migliorare la propria, anche con visiting interni al territorio nazionale, che mi hanno portato a conoscere realtà virtuose e colleghi di altissimo profilo, dai quali ho imparato molto.
Non voglio lasciare fuori dai punti di forza la frequentazione dei social, in particolare di comunità di pratica che mi hanno consentito e ancora mi consentono di interagire e condividere quotidianamente idee, progetti e passione con colleghi da tutta Italia. Faccio parte di un gruppo chiuso che comprende più di 4000 dirigenti scolastici (Dirigenti Scolastici Italiani), che ho contribuito più volte a far incontrare di persona con l’organizzazione di meeting che ci hanno reso una vera e propria comunità professionale, al di là delle diverse appartenenze sindacali e superando le distanze geografiche.
Nel candidarmi per questo premio provo un certo imbarazzo, ma penso che la mia lunga storia professionale, che sta ormai volgendo verso la fase finale, possa motivare i giovani colleghi a concentrare le energie e le competenze non tanto sugli adempimenti burocratici (che in alcuni momenti rischiano di totalizzare il nostro lavoro), ma sulla realizzazione concreta di una scuola innovativa e inclusiva, attraverso un processo di cambiamento continuo, che passa per la condivisione all’interno e all’esterno della comunità scolastica.
In questa sede mi candido come dirigente, e devo dimostrare di essere ciò che il bando richiede. Candido però, assieme a me, le tantissime persone con le quali ho lavorato intensamente e bene, combattendo spesso contro la logica dell’”abbiamo dempre fatto così”, con le quali ho condiviso il sogno di una scuola migliore e un progetto di cambiamento che non si è mai fermato.
Credo che il modo migliore sia presentare dei risultati concreti, che nel mio caso attraversano un percorso venticinquennale, in sette scuole diverse, con tempi di permanenza e possibilità differenti.
Dovrò necesariamente parlare di quasi tutte queste scuole, selezionando in modo estremo ciò che vi è avvenuto finchè ne ero la dirigente, e non è facile ridurre quello che a me risulta, pezzettino per pezzettino, ugualmente importante e di valore.
La mia vision di scuola e il “dopo Covid-19”.
Sono cambiati i dettagli, nel tempo, ma non i principi, che restano i due descritti all’inizio:
studenti al centro e processi di innovazione continua.
Questa è sempre stata la mia sfida, e lo sarà anche per il prossimo futuro.
Mi sono sempre identificata con una posizione fuori dagli schemi, alla ricerca di nuovi paradigmi per la formazione, in ogni modo critica verso il mantenimento di una “comfort zone”.
Non è stato sempre facile, anzi non lo è stato quasi mai. Perchè la scuola italiana, ahimè, tende a ragionare su se stessa, allungando difficilmente lo sguardo al di fuori.
Tende a proteggere lo status quo, e spesso anche a lamentarsi eccessivamente, preferendo atteggiamenti critici alla costruzione di soluzioni.
Ho sempre cercato di invertire la rotta, durante la mia carriera nella scuola, e ancora non ho smesso.
Concepisco l’istituto che mi trovo a dirigere come un sistema che deve funzionare in modo sinergico e non frammentato, e che deve essere fondato su un clima positivo, su relazioni professionali ben costruite e su una leadership diffusa e non episodica.
In estrema sintesi, le leve per un cambiamento sistemico nella scuola che dirigo attualmente si trovano come mappa concettuale nell’atto di indirizzo del dirigente scolastico, progettato con lo staff e condiviso con il collegio dei docenti, che non è stato steso in forma testuale, ma come mappa su Mindomo. Si intitola, non a caso, “L’Einaudi risponde alla sfida dopo Covid-19”:
https://www.mindomo.com/mindmap/e597c1d0ebaf4e4ba91eb3e7b75acab1
Non è una semplice dichiarazione di intenti: su ognuno dei punti evidenziati come fondamentali, ho costruito nel tempo e stiamo costruendo ora, in questa scuola, strumenti concreti, come ad esempio una procedura di onboarding (che ho iniziato ad applicare dal 2018, nella precedente scuola, visto l’elevato turn over) che determini un’ottima accoglienza e avvii sia il personale che gli studenti ad un senso di appartenenza e di benessere nella comunità scolastica.
Come fare per cambiare la scuola.
Il cambiamento deve essere strutturale, l’innovazione sistemica. Sembra un’affermazione scontata, ma non lo è.
Nella scuola frequentemente si tende a non agire secondo una visione di sistema, per l’effettiva difficoltà nella governance, che a livello normativo purtroppo si fonda su una mescolanza disordinata di vincoli, spesso in contraddizione tra loro, che hanno un effetto pesante sulla possibilità di avviare e portare a compimento processi virtuosi.
Prendendone coscienza, con il tempo e l’ausilio di grandissimi esempi, ho elaborato due convinzioni:
1 - che sia necessario agire dal basso e non attendere che il governo centrale ci risolva problemi che ormi sono endemici;
2 - che il metodo giusto sia far leva su alcuni aspetti determinanti del sistema d’Istituto, partendo da una visione reticolare ed integrata delle parti che compongono questo sistema.
La prima è un atteggiamento mentale che non mi lascia mai “sola al comando”, ma che mi spinge a collaborare costantemente con docenti, ATA, studenti, genitori e soggetti esterni alla scuola, per favorire una spinta di miglioramento che parta, appunto, dal basso.
La seconda è più complessa, perchè deve prima identificare quali siano le leve fondamentali, che accelerano il cambiamento ed il miglioramento e ne aumentano l’efficacia e la durata nel tempo.
Io le ho sempre considerate queste, e su queste ho lavorato intensamente con il supporto della comunità scolastica:
gli ambienti di apprendimento,
l’organizzazione,
le metodologie,
le tecnologie,
la formazione.