Flora Ricca

Nome della scuola: 
Istituto Comprensivo "V Cuoco" Petacciato
Città: 
Petacciato
Regione: 
Campobasso
Disciplina/e Insegnata: 
italiano- storia
Descrivere la propria storia di educatore, di impegno, innovazione e determinazione legata al proprio contesto scolastico: : 
Lavoro nella scuola da oltre 28 anni e devo dire è stato un tempo abbastanza lungo per poter sperimentare cambiamenti e innovazioni. Insegnante di sostegno prima e curriculare dopo, ho vissuto l’esperienza dell’insegnante unico e del team, dei Programmi e delle Nuove Indicazioni, delle varie riforme che si sono susseguite. Tali cambiamenti sono stati vissuti sempre con entusiasmo e considerati necessari al fine di un effettivo rinnovamento. In qualità di prima specializzata nel Molise per i non vedenti ho iniziato la mia carriera come insegnante di sostegno dopo aver vinto un ricorso alla Magistratura di Stato che ha determinato il cambiamento della Legge Nazionale: finalmente si riconosceva l’importanza della specializzazione qualora l’insegnante di ruolo non l’avesse. Erano tempi in cui gli alunni ciechi venivano affidati ad insegnanti di ruolo senza titolo di specializzazione. Erano anche gli anni in cui io mi recavo settimanalmente (nella giornata libera) in un paesino dell’alta montagna Molisana a 91 km di distanza per garantire l’iscrizione prima e l’integrazione poi di una bambina cieca alla cui mamma era stata negata la possibilità di iscriverla nelle classi comuni. Venni a conoscenza dell’accaduto, perché in quel periodo avevo condotto una serie di cinque puntate alla RAI Regionale proprio sul tema della disabilità e il giornalista della RAI mi chiese di intervenire. Ho seguito la bambina per l’intero anno scolastico gratuitamente con un incontro settimanale in cui, oltre a lavorare con l’alunna, programmavo il lavoro per la settimana con l’insegnante di sostegno. Dei progressi ottenuti con questa alunna (che iniziò finalmente a camminare, che iniziò a mangiare cibo solido e non più frullato, a parlare invece di urlare soltanto, a entrare finalmente in classe verso la metà del secondo quadrimestre) se ne interessò il Provveditore che venne a farci visita. Nello stesso periodo con l’alunno non vedente inserito nella classe in cui operavo, ho iniziato una sperimentazione durata tre anni che ha reso possibile a questo alunno il riconoscimento dei colori partendo dal residuo visivo della luce (cieco parziale) sotto forma di luci colorate( si sono usati fari da teatro con filtri colorati) che ha consentito poi la lettura di diapositive colorate, il disegno a mano libera con gessi colorati sullo sfondo nero della lavagna. Di tale sperimentazione si interessò la RAI Nazionale. Su questa sperimentazione è stato scritto e stampato il testo: “Imparare a vedere” storia di una esperienza didattica la cui prefazione è stata scritta dal Dott. Mario Mazzeo (tiflopegagogista di fama Nazionale) Per questa sperimentazione fui chiamata dal Centro Pedagogico di Trento in qualità di esperta in una delle settimane estive (in cui gli esperti delle varie disabilità lavoravano con i bambini al fine di poter fare una valutazione sugli apprendimenti) per riproporre attraverso gli stimoli luminosi, strategie di orientamento e creare condizioni di curiosità e di stimolo alla mobilità per bambini più piccoli su cui bisognava rimuovere l’inerzia motoria che li caratterizzava. Fui impegnata anche, in quella occasione, con i pluriminorati per iniziare un intervento che portasse questi bambini a mangiare cibo solido. Sono stata incaricata da Comune di Termoli, in qualità di esperta, a supportare il primo inserimento di un’alunna ipovedente grave iscrittasi al Liceo Classico. Ebbi l’immissione in ruolo a Trento e in quella occasione pur risultando prima in graduatoria sul posto di sostegno, mi fu chiesto di rinunciare al sostegno per il bene del bambino in virtù del fatto che, sicuramente avrei cercato di ritornare nella mia regione, accettai perché sentii forte l’importanza della continuità e passai sulle classi comuni. Nella classe in cui operai quell’anno, molti bambini vivevano situazioni di svantaggio socio-ambientale e spesso la scuola era considerata l’unico luogo d’incontro; ciò determinava spesso una esagerata esuberanza che ad un occhio poco attento, risultava solo disturbante. Pensai subito a un intervento che potesse far prendere coscienza ai ragazzi di come le loro energie potessero essere spese diversamente e intanto prendere coscienza dei comportamenti sbagliati. Per quindici giorni organizzai in accordo con le famiglie, un progetto di autogestione della classe. Proprio a quegli alunni particolarmente “vivaci” affidai il compito di essere maestri di una disciplina. I ragazzi accettarono con entusiasmo l’incarico ritenendo con ingenuità che l’essere insegnante li poneva in una situazione di privilegio (Non fare compiti a casa, avere in qualche modo poteri decisionali maggiori). Rimasero non poco stupiti quando chiesi loro di arrivare cinque minuti prima dell’inizio delle lezioni, di vigilare durante la ricreazione, di dover venire a scuola il giovedì pomeriggio per le due ore di programmazione settimanale. Superato questo primo “scoglio” pensarono bene di avere il diritto di assegnare una quantità esagerata di compiti ai compagni. Non intervenni, se non il giorno dopo quando presi i quaderni dei compagni e dissi al “maestro “ che andavano corretti perché questo era loro compito. Per il piccolo maestro di educazione motoria, quello che spesso, detto dalle colleghe impediva lo svolgersi delle lezioni perché disturbava, pensai bene di aiutarlo durante le ore di programmazione pomeridiana a ricercare giochi motori, gare e percorsi da sottoporre ai compagni il giorno dopo. Non sapeva però che, per questo progetto di autogestione e i fini per cui era stato previsto io avevo chiesto l’aiuto proprio ai compagni di classe che, come stabilito il giorno seguente, mentre il “maestro” entusiasta del lavoro svolto proponeva le attività, loro iniziarono ad assumere comportamenti oppositivi, facevano battute per far ridere tutti, si rincorrevano per la palestra…. Lo vidi piangere e il pianto era delusione per il tanto impegno che ci aveva messo e per i compagni che non lo avevano capito. In conclusione, alla fine del progetto, quei ragazzi compresero il lavoro dell’insegnante (di chi lavora, studia, programma…) e compresero cosa più importante, quanto un comportamento poco corretto possa far male o possa vanificare tutto l’impegno di altri. La parte finale del progetto fu dedicata alla riflessione sui diversi ruoli dell’insegnante e dello studente e all’importanza di un’alleanza educativa. L’alleanza fu sancita da un regolamento di classe e trascorremmo un anno ricco di soddisfazioni. L’anno dopo tornai in Molise e fui insegnante unica in una pluriclasse con tutte e cinque le classi. L’esperienza della pluriclasse è stata occasione di crescita professionale nonostante mi ritrovassi completamente sola. Iniziai proprio in quella pluriclasse a sperimentare metodologie quali il tutoring, il metodo cooperativo e comprendere la necessità della individualizzazione e personalizzazione dei percorsi per dare ad ogni allievo ciò di cui necessitava. Con questa pluriclasse fu realizzato un progetto teatrale “Come Francesco” e i ragazzi ottennero il riconoscimento da parte della Regione Molise. Nella scuola in cui insegno: Istituto Comprensivo “V. Cuoco” di Petacciato, ho portato avanti progetti di cui i Dirigenti hanno riconosciuto la validità in termini di ricaduta sugli apprendimenti degli alunni: la costituzione della cooperativa scolastica da parte dei bambini,regolarmente iscritta alla Camera di Commercio, cooperativa che ha vinto per tre anni consecutivi il primo premio ed io il primo premio come insegnante organizzatrice. La cooperativa, con l’apertura del conto bancario ha guadagnato con mercatini, e con la vendita di un CD alle altre scuole, ideato e realizzato dagli alunni dal titolo “Cestino” sul tema del riciclo. CD con all’interno oltre la storia, giochi interattivi. Parte del ricavato sono stati devoluti in beneficenza altri hanno finanziato la realizzazione di nuovi progetti Credendo molto al valore della teatro-terapia, ho sempre avuto nelle classi bambini con disabilità, sono stati realizzati spettacoli teatrali e di danza in piazza tra i quali: “Cosi è se vi pare” in cui i ragazzi si sono esibiti ballando il rap e hip hop. È stato realizzato un film con tutti gli alunni della scuola Primaria dal titolo “Il mito di Stracciato” proiettato al cinema Lumiere la cui sceneggiatura scritta da me ha spiegato ai bambini, attraverso il mito, la storia del loro paese . La realizzazione del film ha visto da parte mia l’impegno a coinvolgere tutta la comunità e la ricerca di uno sponsor: centro di formazione professionale CSFO che ha messo a disposizione degli alunni un gruppo di dieci estetiste e parrucchiere oltre le costumiste per la realizzazione dei costumi . L’Ente Locale ha stampato ben 500 libretti del Mito distribuiti alla comunità. Altro musical di cui si sono stampati CD: “La storia di Pinocchio” anche in questa occasione è stato il CSFO a collaborare. Di spettacoli se ne sono realizzati tanti e tutti hanno coinvolto l’intera comunità. È stato realizzato con i ragazzi il primo convegno scientifico interamente da loro autogestito aperto alla comunità e con le stesse modalità di autogestione l’anno dopo, un altro convegno sulla disabilità dal titolo “Bambino si, ma non per sempre” In quest’ultima occasione tutte le associazioni nazionali hanno scritto lettere di congratulazioni ai ragazzi e il Dott. Salvatore Nocera presente in qualità di relatore ebbe parole di stima e di affetto nei confronti miei e degli alunni nell’apprezzare non solo, la preparazione di ogni alunno su una specifica disabilità, ma soprattutto per il fatto di vedere ragazzini di quinta Primaria che da soli si erano saputi organizzare e gestire, io e le mie colleghe eravamo fra il pubblico e anche il compito di moderatore era stato affidato ad una alunna. Presente in quell’occasione anche l’Università del Molise, che ci propose poi con il Prof. Saporiti (sociologo) un progetto da attuare per una sua ricerca sui diritti dei bambini su cui lavorammo ampiamente l’anno successivo. Per questo convegno anche la Presidente Nazionale dell’AIMC dopo aver ricevuto copia degli atti del convegno: le relazioni dei bambini e la progettazione del percorso, mi inviò lettera di congratulazioni sottolineando il grande valore formativo dell’iniziativa. A tale convegno partecipò come relatore, anche il bambino cieco che si era trasferito nella nostra scuola dopo un’esperienza fallimentare nella scuola del suo paese. L’anno dopo organizzai un corso di formazione con i genitori sul tema della disabilità con incontri pomeridiani. Il corso aveva come scopo la preparazione di un convegno in cui dopo una attenta analisi del contesto territoriale, proporre alle autorità locali soluzioni per rimuovere barriere e criticità. I genitori si impegnarono tantissimo e il giorno del convegno non poche criticità furono rappresentate e documentate: parcheggi, accessi alla spiaggia, trasporti, …. Ottenemmo da questo convegno l’acquisto da parte del Comune di Petacciato di un pulminio per il trasporto dei bambini con disabilità. Ho organizzato ed ottenuto che nell’Istituto si svolgesse il corso di “Facilitatori della prevenzione primaria” corso di 700 ore, assicurando poi l’apertura degli sportelli d’ascolto per alunni e genitori. Ho scritto la favola “Salti agli ostacoli” per sensibilizzare gli alunni sul tema dei DSA, la favola è stata scritta durante un progetto svolto nelle ore pomeridiane con i ragazzi della Scuola Secondaria di 1° grado che, dopo una prima fase di formazione, sono diventati tutor di gruppi di alunni della Scuola Primaria per un progetto di recupero e potenziamento in cui erano inseriti anche alunni DSA. Alla fine del progetto dopo aver scritto la favola gli stessi tutor l’hanno illustrata. Ho voluto fortemente che nel nostro Istituto tutti gli insegnanti frequentassero i corsi di Dislessia Amica risultando così una scuola che sia per il primo, come per il secondo livello, ottenesse la certificazione di:“Scuola Amica per la dislessia”. Ho fornito materiali ai colleghi per poter attuare già con i bambini di cinque anni la rilevazione di rischio DSA per poter intervenire in modo preventivo. Altra storia da me scritta è “Storia di un agnellino” che è stata pubblicata e il cui contenuto è il sapersi accettare. Nel periodo della pandemia ho scritto per i bambini la storia “Il Principe Corona” pubblicata da Orizzonte Scuola. Ho progettato nell’Istituto i laboratori verticali che hanno visto coinvolti i bambini dai cinque anni ai tredici, prevedendo una intera giornata settimanale dedicata ai laboratori in cui i bambini dell’Infanzia si incontrano con i bambini delle classi prime, quelli di seconda con i bambini della terza, quelli di quarta con quelli di quinta e prima classe Secondaria di 1° grado, quelli di seconda Secondaria di 1° grado con quelli di terza dello stesso ordine di scuola. Tutti i laboratori hanno lavorato su un tema scelto collegialmente e a fine anno hanno mostrato i lavori alla comunità attraverso un open day. Ho progettato e realizzato per gli alunni della Scuola Primaria e Secondarie di primo grado, un percorso durato l’intero anno scolastico con incontri pomeridiani per 5 anni di Philosophy for Children ; altra importante metodologia attuata è stata quella che ha visto mettere in campo il metodo Feuerstein. Ho scritto un sussidiario di storia dal titolo “Nonno Raccontami una storia” ed ho iniziato una sperimentazione durata tre anni in cui è stato applicato il metodo della narrazione e il metodo socratico. Il testo concepito in una visione interdisciplinare comprende anche dilemmi morali, giochi, verifiche delle competenze, attività di laboratorio. Al termine della sperimentazione è stato sottoposto ai genitori e agli alunni un questionario anonimo per verificare l’indice di gradimento e i risultati si sono attestati su valori di eccellenza, tanto da chiedere che anche nella scuola Secondaria di 1° grado possa continuare tale insegnamento con le stesse metodologie avendo riscontrato un interesse maggiore nello studio, l’acquisizione del metodo di studio, lo sviluppo di capacità critiche e l’acquisizione di competenze trasversali e meta cognitive. Con i bambini più piccoli, classe prima, ho attuato una didattica “lenta” lavorando principalmente sulle emozioni avvicinandoli non solo a tutti i tipi di linguaggi ma anche ad altri codici comunicativi. Ho progettato PON rispondendo a tutti i bandi e tutti hanno avuto esito positivo facendo in modo che non solo si ampliasse l’offerta formativa ma si attrezzassero nuovi e più moderni ambienti di apprendimento, laboratori informatici, atelier creativi, e una grande quantità di sussidi informatici. Tra i tanti PON molti erano specifici per lo svantaggio e l’inclusione, per il recupero e il potenziamento, sull’intercultura e le nuove tecnologie Di questi uno in particolare sulle Life Skills che ha ottenuto il primo posto nella graduatoria. Ogni anno progetto Area a rischio e il progetto sulle minoranze linguistiche per un plesso del nostro Istituto. Ho coordinato la commissione per il RAV e per ogni sua revisione, ho coordinato la commissione anche per il la sperimentazione del RAV Scuola dell’Infanzia , per la stesura del curricolo verticale e per la nuova valutazione. Ho svolto formazione interna sulla disabilità e ho voluto fortemente due giornate di sensibilizzazione su tale tema, sia per gli studenti che per la comunità che hanno visto come relatrici le Insegnanti di sostegno operanti nell’Istituto. Ho voluto fortemente perché il PEI fosse concepito come un PEI in divenire e fosse redatto bimestralmente come le programmazioni curricolari in modo tale da evitare quelle progettazioni annuali che mai erano soggette a modifiche anche quando tali modifiche necessitavano. Con la progettazione bimestrale veniva richiesto una puntuale verifica del bimestre precedente prima della nuova progettazione e la verifica veniva attuata non solo sul raggiungimento degli obiettivi, ma in maniera approfondita sul livello di inclusione raggiunta: punti di raccordo con la classe, barriere ancora esistenti e facilitatori da mettere in campo…. Altra sperimentazione fortemente voluta da me e di cui sono riuscita ad ottenere il consenso dell’intero collegio docenti ed in primis dal dirigente è stata quella di affidare un insegnamento (disciplina o educazione) a tutte le insegnanti di sostegno con cattedra completa. Dopo ormai quattro anni di sperimentazione abbiamo ottenuto i seguenti risultati: per le famiglie l’insegnante di sostegno è l’insegnante della classe che opera con tutti i bambini e non più l’insegnante di X; per i bambini della classe è la loro maestra e non solo la maestra di X; per le colleghe, la dimostrazione di come l’insegnante specializzato diventa ricchezza non solo per il bambino con disabilità ma per tutti e di come la loro formazione iniziale e il loro continuo aggiornamento sulle nuove metodologie e gli strumenti più inclusivi possano favorire la loro crescita professionale; per i bambini con disabilità una maggiore autonomia e sicuramente l’essersi liberati di quella etichetta di alunno con disabilità che necessita di una maestra solo per lui. Ho svolto formazione per le neo immesse in ruolo. Il mio impegno da oltre vent’anni con l’Università del Molise ha favorito un mio continuo aggiornamento che ho sempre messo a servizio dell’Istituzione scolastica. Ho sempre avuto ottimi rapporti con le famiglie che ho coinvolto sempre non solo nella fase di realizzazione ma dalla prima fase della progettazione. Ho sempre lavorato ritenendo che il mio principale compito fosse quello dell’insegnante facilitatore che deve facilitare l’apprendimento, la comunicazione e la relazione d’aiuto per lasciare sempre una traccia positiva nella memoria autobiografica degli allievi. Ho cercato di rendere i bambini capaci di governare il loro apprendimento. Per far ciò si è reso indispensabile per me un continuo decostruirmi per reinventarmi. Quest’anno ho introdotto una didattica “lenta, calda” attraverso la cura per l’attivazione delle emozioni e i momenti di ristoro integrati nel percorso didattico, dalla struttura delle unità di lavoro, all’accoglienza all’approccio alla letto-scrittura alla matematica alle discipline rispettando le fasi di sviluppo, evitando l’ingozzamento cognitivo. Senza usare strumenti dedicati all’inclusione tutto ciò che è stato fatto è stato inclusivo, le proposte sono nate già inclusive prestando particolare attenzione agli stili di apprendimento di ogni bambino, scegliendo metodologie e strategie pensate per arrivare a tutti e per aiutare ciascuno. I bambini sono stati avvicinati a tutti i codici linguistici compreso il Braille, la LIS ritenendo che tali codici comunicativi possano arricchirli ulteriormente in termini di abilità e competenze. Le valutazioni ottenute come formatore nell’Istituto, all’Università e negli Enti con cui collaboro si sono attestate sempre su valori ottimi riconoscendomi grandi capacità comunicative e di coinvolgimento degli studenti oltre che competenze disciplinari. Nell’Istituto “V. Cuoco” di Petacciato in cui opero da oltre venti anni le colleghe mi ritengono un leader educativo su cui fare affidamento perché disponibile, aperta al confronto e portatrice di idee innovative. Ho rivestito l’incarico di: responsabile di plesso, funzione strumentale, membro del Consiglio d’Istituto, responsabile per l’Integrazione e l’inclusione, responsabile d’Istituto per l’Educazione civica, Primo collaboratore del Dirigente Scolastico, coordinatore di tutte le commissioni e i gruppi di lavoro. Ho progettato PON rispondendo a tutti i bandi e tutti hanno avuto esito positivo facendo in modo che non solo si ampliasse l’offerta formativa ma si attrezzassero nuovi e più moderni ambienti di apprendimento, laboratori informatici, atelier creativi, e una grande quantità di sussidi informatici. Tra i tanti PON molti erano specifici per lo svantaggio e l’inclusione, per il recupero e il potenziamento, sull’ intercultura e le nuove tecnologie Di questi uno in particolare sulle Life Skills che ha ottenuto il primo posto nella graduatoria.
Descrizione di come è stata affrontata l’emergenza da COVID-19 con i propri studenti:: 
Ritenendo che un buon insegnante deve essere predisposto a provare ed usare cose nuove: sia nelle competenze ed applicazioni didattiche sia negli strumenti e dispositivi tecnologici, l’emergenza da COVID-19 non mi ha colta impreparata. Ho affrontato tale emergenza con alunni di classe prima della Scuola Primaria e naturalmente, diventava indispensabile, prima di ogni altra cosa, presentare ai piccoli l’ esperienza della Didattica a distanza come una entusiasmante opportunità per imparare nuove cose e sperimentare la scuola del futuro. I bambini così tranquillizzati hanno vissuto questo periodo con l’entusiasmo di chi, saliti sulla macchina del tempo hanno spostato in avanti le lancette del tempo. Ho spiegato ai bambini come il nuovo spazio d’azione costituisse l’aula virtuale e di come, una volta entrati in questo spazio fosse stato possibile fare cose fantastiche: raccontarci storie, leggere i nostri libri che per questa nuova occasione diventavano digitali, fare laboratori come si era sempre fatto. I bambini che si erano avvicinati precedentemente al digitale quando erano in classe, sono stati autonomi e si sono autogestiti pur essendo piccoli. Naturalmente è stato rimodulato l’orario, le modalità di presentazione delle attività. La fase più importante è stata segnata dalla condivisione con le colleghe delle stesse opzioni adottando la prospettiva degli allievi nelle scelte e nell’allestimento. Le parole chiave sono state chiarezza e sostenibilità ritenendo che il ruolo del docente doveva continuare ad essere quello di accompagnatore e sostenitore dell’apprendimento. In questa nuova situazione ho presentato le attività dandogli un senso, impegnandomi a ideare le forme migliori affinchè gli alunni potessero, partendo dal loro bagaglio, costruire significati e nuove conoscenze. Lavorare a distanza ha richiesto una maggiore autonomia e autoregolazione e pertanto è stato necessario lavorare sulla motivazione. Anche la valutazione formativa è stata gestita a distanza e intesa come fase importantissima. A distanza la valutazione formativa e il feedback hanno richiesto azioni esplicite come domande di discussione, quiz, assegnazione di piccoli compiti, senza dimenticare l’autovalutazione (ad es., attraverso un test a scelta multipla con feedback correttivo). La Metodologie adottata prevalentemente: il digital storytelling, e naturalmente il Visual learning in continuità con il metodo attuato in presenza. Il libro di testo scelto ci aveva consentito già, come detto, di fare della classe una classe ibrida e per questo la DAD non ci ha colto del tutto impreparati.
Descrivi la tua visione di educazione per il futuro: 
L’idea di educazione per il futuro può nascere solo da una nuova visione della scuola L’idea di scuola che ho sempre avuto è quella di una scuola che educa le nuove generazioni accettando però la sfida dell’individuazione di un senso dentro la trasmissione dei saperi, delle abilità, delle competenze. Una scuola che educa la “persona”: un essere unico e irripetibile da qui, la necessità di comprendere che ogni bambino ha bisogno di essere aiutato a scoprire il valore di se stesso, delle cose e della realtà. Una scuola che educa il bambino a conoscere, ad accettare, a tirar fuori e costruire sé, solo entrando in rapporto con la realtà che lo circonda. Obiettivo principale della scuola è quello di far nascere “il tarlo” della curiosità, lo stupore della conoscenza. La scuola deve essere luogo in cui le diversità e le differenze devono essere condivise. La scuola è collegialità, senso di appartenenza, luogo di responsabilità condivise. Sono per una scuola “colorata” dove si condividono emozioni, si creano legami, dove si valutano le competenze certi che ogni alunno ne ha, dove la retta che segna il punto di partenza e il punto di arrivo di alcuni alunni, se troppo lunga, venga letta non come discrepanza ma come bisogni. Sono per una scuola attenta a valorizzare le diverse intelligenze una scuola che comprenda profondamente il termine “Compensazione”. Una scuola così credo possa vincere le sfida di trovare e avere senso per le future generazioni, una scuola che non dimentichi di educare a vivere a pieno il proprio tempo, senza cadere nel paradosso del rimpianto per il passato e nel pregiudizio per il futuro. L’educazione per il futuro non può prescindere dall’idea di un insegnante moderno che deve essere predisposto a provare ed usare cose nuove: sia nelle competenze ed applicazioni didattiche, sia negli strumenti e dispositivi tecnologici. In definitiva l’idea di educazione per il futuro è racchiusa nella costruzione di un progetto di vita che ci renda tutti veramente liberi.